Changing for good

Aprile 28, 2020 |by | 0 Comments | Crescita personale

By Silvia Carbogno. Published on 29 Febbraio 2020. 0

”Se quell’omino verde di Marte arrivasse e ci chiedesse di spiegarci le nostre tecniche per attuare il cambiamento umano, e se glielo dicessimo, non si gratterebbe la testa (o il suo equivalente) per incredulità, e non ci chiederebbe perché siamo arrivati a teorie così complicate, astruse e inverosimili, invece di indagare prima di tutto su come il cambiamento umano avvenga in modo naturale, spontaneo e quotidiano?” 

Paul Watzlawick, dal libro “Changing for good” dello Psicologo James O Prochaska.


Ci troviamo spesso a pensare di voler cambiare qualcosa della nostra vita, per es. iniziare a fare sport, assumere abitudini alimentari sane, comunicare in maniera assertiva, fare delle scelte in maniera più consapevole…la lista potrebbe continuare all’infinito…

Ancora più spesso facciamo esperienza di non riuscire a mettere a fuoco da dove cominciare, oppure abbiamo difficoltà ad effettuare il primo passo. Capita di pensare che il primo comportamento di cambiamento che riusciamo a mettere in atto implichi già quel “per sempre”, “definitivo” che suggerisce il titolo, sperimentando poi, un senso di frustrazione per non essere in grado di sostenere e mantenere il nuovo comportamento.


“Changing for good” nasce dall’esigenza dell’autore di capire quali elementi e strategie accomunano coloro che riescono a raggiungere un obiettivo di cambiamento senza il supporto del counseling o della terapia, e suggerisce un modello transteorico, cioè  trasversale rispetto ai vari approcci psicologi, che possa rispondere  alla necessità di una teoria generale del cambiamento.


Tale modello è composto da 6 fasi: pre-contemplazione, contemplazione, preparazione, azione, mantenimento, conclusione. Ciascuna fase è funzionale a quella successiva e ci permette di passare dall’idea di spostarci da “dove siamo” , fino ad arrivare a “dove vogliamo essere”, attraverso la messa in atto di comportamenti consapevoli ed efficaci. 


“Changing for good” è un libro di auto, che ci supporta nel comprendere quanto sia importante, ancora prima di agire, avere chiaro dove siamo rispetto a ciò che vogliamo raggiungere, in quale fase del cambiamento ci troviamo, e quali siano gli strumenti più adatti a esplorare e superare quella specifica fase, per passare poi a quella successiva.
Nonostante sia ricco di esempi legati alle dipendenze e alla depressione, ritengo sia molto utile, perché descrive un modello trasversale, applicabile ad ogni situazione di cambiamento della vita quotidiana. 


Lo consiglio sia a chi desidera avere uno strumento efficace di consapevolezza e azione, da utilizzare per motivarsi e agire un cambiamento, sia ai counselor, per facilitare il cliente a riconoscere la fase in cui si trova e a supportarlo utilzzando, strumenti di intervento adeguati alla fase in cui si trova il cliente.
Un libro, inoltre, che sottolinea l’importanza di riconoscere i nostri bisogni e prenderci il tempo necessario affinché il cambiamento avvenga nel rispetto di ogni fase. E ci ricorda che siamo umani, che gli errori, le ricadute, i passi indietro, sono occasione ulteriore di monitoraggio del processo, di valorizzazione di ciò che è stato fatto e, davvero, strumento di auto-conoscenza e auto-consapevolezza,  miglioramento e crescita continua.

Changing for good, di James O. Prochaska, Ph.D., John C. Norcross, Ph.D., Carlo C. DiClemente, Ph.D. – HarperCollins e-books. Prima edizione 1994.

È segnalato in ArKani Segnali perché: è uno prezioso strumento di auto-aiuto e di supporto nei processi di cambiamento

È Segnalato per: tutti, operatori delle professioni d’aiuto

Ho scelto questa mia foto perché: questi frutti di agave sono il risultato di un raro e prezioso processo di crescita e cambiamento di cui sono stata testimone

Fonte: Arka Associazione

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La scienza della negoziazione

Aprile 28, 2020 |by | 0 Comments | counseling, Crescita personale

Qualche tempo fa sono venuti ad abitare nel mio palazzo dei nuovi vicini: mamma e papà quarantenni, un ragazzino di una decina d’anni e un cane, un pastore abruzzese decisamente grande, anche se dalla vitalità e dal suo entusiasmo sembra ancora abbastanza giovane. Una famigliola tranquilla, persone gentili, con cui ci si saluta con cordialità se ci si incontra in portineria o in cortile.

Tutto perfetto. Salvo il fatto che lasciano spesso il cane da solo in casa, con la finestra aperta sul balcone: basta un minimo movimento in cortile, che lui si affaccia e incomincia ad abbaiare. Qualcuno scende a buttare l’immondizia, lui abbaia. Qualcuno va a prendere la macchina nel box, lui abbaia. C’è un trasloco e i traslocatori stanno tutto il giorno in cortile a mettere mobili sul camion: lui abbaia tutto il giorno.

All’inizio mi dispiaceva per il cane: me lo immagino costantemente in ansia, perché per natura fa la guardia e ogni movimento in cortile per lui è una minaccia. Poi piano piano il dispiacere si è trasformato in fastidio e quindi in rabbia. Naturalmente non verso il cane, bensì verso i cosiddetti padroni, cioè gli umani che dovrebbero occuparsene, perché lo lasciano solo tutto il giorno, perché lo lasciano in una condizione (io credo) di costante ansia, perché non si preoccupano che il continuo abbaiare di un cane possa creare disturbo ai vicini, trattandosi di fatto di “un’invasione acustica”.

Siccome sono una persona gentile ho cercato una soluzione creativa, provando ad evitare le lettere di reclamo, le segnalazioni all’amministratore del condominio o altre forme di intervento più o meno aggressive. Purtroppo ho esitato un po’ troppo e quindi il rimanere ancora del tempo in quella situazione sgradevole l’ha resa sempre più un’ossessione: bastava che il cane abbaiasse anche solo una volta, che il mio umore ne risentiva, diventavo nervosa e insofferente, ero in casa mia e ci stavo a disagio, mi sentivo impotente e incastrata in una situazione senza via di uscita. Mi sentivo in ostaggio.

Per fortuna mi è venuto da usare proprio questa parola, “ostaggio”, e questo mi ha dato lo spunto per uscire dal tunnel in cui mi ero cacciata. Sì perché mi è tornato in mente il libro di George Kohlrieser “La scienza della negoziazione. Come gestire i conflitti e avere successo (nella vita e nel lavoro)” che ho letto alcuni anni fa e mi si è subito aperto uno spiraglio.

George Kohlrieser è uno psicologo clinico e organizzativo di fama mondiale, si occupa di gestione di conflitti e ha grande esperienza nella gestione della violenza e nella negoziazione degli ostaggi. In questo suo libro si rivolge a tutti, professionisti e persone comuni, a chi ha conflitti sul lavoro, in famiglia e nella vita privata, a chi evita i conflitti e a chi “se li va a cercare”; il filo conduttore è che se siamo in una situazione conflittuale, con noi stessi o con qualcun altro, siamo sempre ostaggi: di emozioni che non sappiamo comprendere, di paure e insicurezze, vittime delle nostre incapacità relazionali.

Kohlrieser mette a disposizione la sua esperienza di negoziatore, anche con molti esempi tratti dalla sua carriera professionale, e offre delle istruzioni operative per affrontare i conflitti, per superare lo statusdi vittima della situazione e riprendere in mano efficacemente la propria vita.

Gli strumenti che utilizza hanno a che fare con la nostra intelligenza emotiva e con la nostra competenza comunicativa: saper riconoscere e accogliere le nostre emozioni, saper creare un legame emotivo con l’altra parte nel conflitto, sapere ascoltare e stare nel dialogo.

Attraverso l’empatia, sia verso se stessi che verso gli altri, e grazie all’ascolto attivo e alla comunicazione autentica, è possibile entrare nei conflitti in maniera costruttiva, renderli “maneggiabili” e gestirli efficacemente. In buona sostanza: liberare quella parte di noi in ostaggio della situazione sgradevole.

Tornando al cane che abbaia in balcone: sono andata a rileggermi le parti salienti de “La scienza della negoziazione” e ho provato a empatizzare con i miei vicini, me li sono immaginati incapaci di gestire un cane in questa situazione (cane sempre in allerta, vita condominiale), ho pensato che possano non sapere che il cane abbaia spesso, oppure esserne consapevoli ed essere a disagio nel non sapere cosa fare… e ho trovato la soluzione.

Invece di arrabbiarmi, litigare, denunciarli all’amministratore, ho pensato di invitarli a bere un aperitivo nel bar sotto casa, di raccontare le mie preoccupazioni per il loro cane e anche i miei fastidi, le mie rabbie; ho pensato di parlare loro di un’amica che si occupa di educazione cinofila, di dir loro che anche con gli animali si può entrare in empatia, si può imparare a entrare in relazione e a riconoscerne i bisogni, anche con gli animali si può imparare a dialogare.

Aspetto l’occasione buona per invitarli all’aperitivo, eppure già solo questi pensieri mi hanno fatto stare meglio. In effetti, se possiamo dialogare con gli animali, forse possiamo imparare a farlo anche con gli umani.

LA SCIENZA DELLA NEGOZIAZIONE.Come gestire i conflitti e avere successo (nella vita e nel lavoro)  di George Kohlrieser, Sperling & Kupfer Editori, 2011

È segnalato in ArKani segnali perché:imparare a stare nei conflitti con autenticità ed empatia ci rende liberi

È segnalato per: tutte/i

Fonte: Arka Associazione

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A che gioco giochiamo?

Aprile 27, 2020 |by | 0 Comments | Genitori consapevoli

È da anni che lavoro con gruppi di adolescenti, prima in ambito di volontariato e successivamente come professionista con il counseling. Mi è capitato spesso di confrontarmi con adulti, educatori o genitori, che mi dicono di aver difficoltà a comprendere o comunicare con i ragazzi. Mi piace molto il mondo dell’età evolutiva, soprattutto degli adolescenti, perché è così ricco ed è il nostro futuro. Sono quindi sempre alla ricerca di nuove letture sia per gli adolescenti, sia per me per continuare a formarmi, sia per i genitori, come supporto nel loro cammino. 

Mi sono imbattuta in questo libro un po’ per caso. Da subito mi è piaciuto perché creativo, con colori, foto, parti scritte a mano. Sfogliandolo, ho notato che raccoglie molte voci: racconti dei ragazzi, esperti che scrivono, schede di approfondimento e filmografia ed inoltre è recente, del 2018. Questo insieme di fattori mi ha fatto acquistare il libro. 

È un libro che può leggere un adolescente e allo stesso tempo è interessante anche per chi lavora con i ragazzi. Personalmente mi è piaciuto perché sono gli stessi ragazzi a raccontare attraverso mail o lettere di alcune tematiche attuali quali i social, il loro corpo, le loro idee sulla società oggi, il terrorismo, la società multietnica, l’inquinamento e molto altro; un modo per loro di parlare e raccontarsi e un’opportunità per noi adulti per essere “ascoltatori”.

Oltre ai racconti dei ragazzi ci sono delle schede di approfondimento sulle tematiche trattate da esperti, narrazioni di chi “scrive per mestiere”; schede operative da poter utilizzare come strumenti di lavoro “riflettiamoci su” e “discutine con l’insegnante” per ragionare con i ragazzi.

Questo libro per me è un’integrazione tra le riflessioni degli adolescenti e la loro visione del mondo, il parere degli esperti e scrittori famosi su questa fascia di età. È un primo passo per poterci avvicinare con curiosità e apertura ad un mondo futuro visto anche con gli occhi dei protagonisti. 

A CHE GIOCO GIOCHIAMO? di Brillante Massaro, Gruppo Editoriale Raffaello, 2018.

È segnalato in ArKani Segnali perché: è utile per la formazione in counseling di chi lavora con gli adolescenti.

È segnalato per: counselor, genitori, educatori.

Ho scelto questa mia foto perché: mi ricorda un gruppo counseling di quest’estate quando ho lavorato con un gruppo di animatori. Rappresenta il momento e il punto di forza del gruppo “l’integrazione, la potenza ed il valore della collaborazione” quando adolescenti e adulti aprono reciprocamente i propri cuori.

Sandra Isolini

Fonte: Arka Associazione

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