CAMBIAMO STRADA. Le quindici lezioni del Coronavirus
Venerdi sera, alle 17.50, sono anch’io seduta ad uno dei tanti tavolini della piazza, con...
0Qualche tempo fa sono venuti ad abitare nel mio palazzo dei nuovi vicini: mamma e papà quarantenni, un ragazzino di una decina d’anni e un cane, un pastore abruzzese decisamente grande, anche se dalla vitalità e dal suo entusiasmo sembra ancora abbastanza giovane. Una famigliola tranquilla, persone gentili, con cui ci si saluta con cordialità se ci si incontra in portineria o in cortile.
Tutto perfetto. Salvo il fatto che lasciano spesso il cane da solo in casa, con la finestra aperta sul balcone: basta un minimo movimento in cortile, che lui si affaccia e incomincia ad abbaiare. Qualcuno scende a buttare l’immondizia, lui abbaia. Qualcuno va a prendere la macchina nel box, lui abbaia. C’è un trasloco e i traslocatori stanno tutto il giorno in cortile a mettere mobili sul camion: lui abbaia tutto il giorno.
All’inizio mi dispiaceva per il cane: me lo immagino costantemente in ansia, perché per natura fa la guardia e ogni movimento in cortile per lui è una minaccia. Poi piano piano il dispiacere si è trasformato in fastidio e quindi in rabbia. Naturalmente non verso il cane, bensì verso i cosiddetti padroni, cioè gli umani che dovrebbero occuparsene, perché lo lasciano solo tutto il giorno, perché lo lasciano in una condizione (io credo) di costante ansia, perché non si preoccupano che il continuo abbaiare di un cane possa creare disturbo ai vicini, trattandosi di fatto di “un’invasione acustica”.
Siccome sono una persona gentile ho cercato una soluzione creativa, provando ad evitare le lettere di reclamo, le segnalazioni all’amministratore del condominio o altre forme di intervento più o meno aggressive. Purtroppo ho esitato un po’ troppo e quindi il rimanere ancora del tempo in quella situazione sgradevole l’ha resa sempre più un’ossessione: bastava che il cane abbaiasse anche solo una volta, che il mio umore ne risentiva, diventavo nervosa e insofferente, ero in casa mia e ci stavo a disagio, mi sentivo impotente e incastrata in una situazione senza via di uscita. Mi sentivo in ostaggio.
Per fortuna mi è venuto da usare proprio questa parola, “ostaggio”, e questo mi ha dato lo spunto per uscire dal tunnel in cui mi ero cacciata. Sì perché mi è tornato in mente il libro di George Kohlrieser “La scienza della negoziazione. Come gestire i conflitti e avere successo (nella vita e nel lavoro)” che ho letto alcuni anni fa e mi si è subito aperto uno spiraglio.
George Kohlrieser è uno psicologo clinico e organizzativo di fama mondiale, si occupa di gestione di conflitti e ha grande esperienza nella gestione della violenza e nella negoziazione degli ostaggi. In questo suo libro si rivolge a tutti, professionisti e persone comuni, a chi ha conflitti sul lavoro, in famiglia e nella vita privata, a chi evita i conflitti e a chi “se li va a cercare”; il filo conduttore è che se siamo in una situazione conflittuale, con noi stessi o con qualcun altro, siamo sempre ostaggi: di emozioni che non sappiamo comprendere, di paure e insicurezze, vittime delle nostre incapacità relazionali.
Kohlrieser mette a disposizione la sua esperienza di negoziatore, anche con molti esempi tratti dalla sua carriera professionale, e offre delle istruzioni operative per affrontare i conflitti, per superare lo statusdi vittima della situazione e riprendere in mano efficacemente la propria vita.
Gli strumenti che utilizza hanno a che fare con la nostra intelligenza emotiva e con la nostra competenza comunicativa: saper riconoscere e accogliere le nostre emozioni, saper creare un legame emotivo con l’altra parte nel conflitto, sapere ascoltare e stare nel dialogo.
Attraverso l’empatia, sia verso se stessi che verso gli altri, e grazie all’ascolto attivo e alla comunicazione autentica, è possibile entrare nei conflitti in maniera costruttiva, renderli “maneggiabili” e gestirli efficacemente. In buona sostanza: liberare quella parte di noi in ostaggio della situazione sgradevole.
Tornando al cane che abbaia in balcone: sono andata a rileggermi le parti salienti de “La scienza della negoziazione” e ho provato a empatizzare con i miei vicini, me li sono immaginati incapaci di gestire un cane in questa situazione (cane sempre in allerta, vita condominiale), ho pensato che possano non sapere che il cane abbaia spesso, oppure esserne consapevoli ed essere a disagio nel non sapere cosa fare… e ho trovato la soluzione.
Invece di arrabbiarmi, litigare, denunciarli all’amministratore, ho pensato di invitarli a bere un aperitivo nel bar sotto casa, di raccontare le mie preoccupazioni per il loro cane e anche i miei fastidi, le mie rabbie; ho pensato di parlare loro di un’amica che si occupa di educazione cinofila, di dir loro che anche con gli animali si può entrare in empatia, si può imparare a entrare in relazione e a riconoscerne i bisogni, anche con gli animali si può imparare a dialogare.
Aspetto l’occasione buona per invitarli all’aperitivo, eppure già solo questi pensieri mi hanno fatto stare meglio. In effetti, se possiamo dialogare con gli animali, forse possiamo imparare a farlo anche con gli umani.
LA SCIENZA DELLA NEGOZIAZIONE.Come gestire i conflitti e avere successo (nella vita e nel lavoro) di George Kohlrieser, Sperling & Kupfer Editori, 2011
È segnalato in ArKani segnali perché:imparare a stare nei conflitti con autenticità ed empatia ci rende liberi
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Fonte: Arka Associazione